Quintetto di Fiati “Orobie”
Gaetano Donizetti

Donizetti e la follia


 Donizetti e la follia
Quintetto di Fiati “Orobie”
Gaetano Donizetti

Donizetti e la follia



L'album

Gaetano Donizetti è stato autore di grandi melodrammi comici, tragici, seri e semiseri. Mediamente tutti, studiosi e appassionati, condividono l’opinione che il suo capolavoro tragico sia Lucia di Lammermoor. E Lucia trova il suo vertice, la sua sintesi perfetta nella celeberrima “scena della follia”. La follia in musica è uno dei “luoghi musicali”, dei topoi, del romanticismo ottocentesco, assieme alle preferenze per le ambientazioni notturne, per il medioevo cupo e fantastico, tra suggestioni gotiche e cimiteriali. La “follia” di Lucia di Lammermoor rappresenta il topos nel quale il maestro bergamasco non ebbe rivali: non Bellini, non Rossini e nemmeno Verdi per stare ai colleghi maggiori. L’idea da cui è nata questa proposta è stata quella di cercare e selezionare alcune delle “follie in musica” di Gaetano Donizetti. Un’idea fondata su due ragioni principali. La prima è la presenza, molto più ricca di quanto si creda, di personaggi “folli” all’interno delle oltre settanta opere del genio bergamasco: quelle scelte sono, per una sorta di par condicio ante litteram, divise equamente tra figure maschili e femminili… quel tanto che basta per confutare il luogo comune che “la follia è donna”. E nel catalogo di Donizetti non figurano anche diversi progetti a volte iniziati e mai completati, come “Una follia”, o “La follia di Carnevale” (1818), o l’idea abbozzata per lettera, mai realizzata di “Jean la folle”(per l’Opéra, 1844). L’altra ragione è più strettamente legata alla vita dello stesso Donizetti. Se Lucia di Lammermoor è il dramma della follia per antonomasia, è noto che gli ultimi tre anni di vita di Gaetano, tra il 1845 e il 1848, furono segnati da paralisi mentale cronica, via via aggravata, con una tragica e irreversibile perdita di senno, nonostante gli sforzi della Baronessa Rosa Basoni Scotti e di chi gli stette vicino amorevolmente. L’operista fu colpito da cerebropatia, male aggravatosi durante il travagliato viaggio dalla casa di salute di Ivry, Parigi (dove era stato rinchiuso con un inganno), fino a Bergamo, sua città natale, epilogo di una vita febbrile e senza requie.Fu il segno di una familiarità col “delirio”, il nome della follia a suo tempo? Fu una “predestinazione” o di un’estetica intimamente connessa con la follia (o anche di una predilezione)? A sostegno di questa tesi sembra porsi il primo passo operistico di Gaetano. Nella scena lirica in un atto Pigmalione, 1816, Donizetti mette in scena la vicenda del re di Creta, così invaghito dalla bellissima statua di Galatea appena completata con le sue stesse mani, da chiedere agli dei che prenda vita. La richiesta, miracolosamente esaudita, provoca al protagonista un eccesso di follia, un’uscita di senno solitaria. “Smanio, deliro, deliro e fremo” intona Pigmalione-Donizetti con le parole di Simone Sografi. Adelia (Roma, Teatro Apollo, 11 settembre 1841) è una sorta di “cugina” di Lucia, una storia di segno opposto della sfortunata figlia degli Ashton. Adelia è “la figlia dell’arciere”. Anche lei come Lucia vive un amore ricambiato per Oliviero conte di Fienna, nobile del Galles, che però conosce solo quale anonimo giovane dal mantello rosso, intrufolatosi nella sua stanza di nascosto. Il matrimonio tra i due non si può fare, perché le leggi medievali impedivano le unioni tra plebei e nobili. Il duca Carlo tuttavia concede formalmente l’eccezione, con l’intenzione di giustiziare Oliviero appena celebrate le nozze. Avvisata con un messaggio delle reali intenzioni di Carlo, Adelia si dispera e fa di tutto però dilazionare la celebrazione. Suo padre non comprende, arriva a minacciarla di morte e a trascinarla a viva forza sulla soglia dell’altare. Adelia, fuori di sé, delira e stravolta, dà voce a tutte le sue ossessioni, come la scure che pende sul capo di Oliviero. L’arrivo del suo amato, che le annuncia il grado di nobiltà concesso infine dal Duca alla famiglia della protagonista, fa rinsavire Adelia e scioglie felicemente il dramma. La Sinfonia d’apertura rispecchia le tinte medievali, tra squilli di fiati, ritmi araldici e ripieghi improvvisamente drammatici. Con I pazzi per progetto (Teatro del Fondo, 7 febbraio 1830) siamo in un mondo di finti matti, come suggerisce il titolo, peraltro non nuovo per l’epoca. È una farsa napoletana in cui marito e moglie, Norina e il colonnello Blinval, si ritrovano in un manicomio e si fingono entrambi malati di mente (un soggetto ripreso da Scribe) per verificare la fedeltà l’uno dell’altra. La lunga vita militare di lui li ha, infatti, tenuti lontani per molto tempo. Dalle pagine scoppiettanti della pièce, è stata estratta l’aria della moglie Norina, che risponde per le rime alla “follia” del marito. La vicenda si chiude, ovviamente, con la riconciliazione tra i due. In questo caso la “follia” dà origine a lazzi e intrighi tipici della farsa, con guizzi fulminanti e spassosi. Una scena di follia proverbiale, tra le più conosciute è quella di Anna Bolena (Teatro Carcano, 26 dicembre 1830, Milano). La Scena e aria finale “Piangete voi? Donde tal pianto”, è il racconto commovente e straziato di una donna che ama ed ha amato con sincerità, ricevendo in cambio inganno, disprezzo e infine condanna a morte, che
accetta senza cedimenti e compromessi. Il “delirio” di Anna è un rifugiarsi nel ricordo, nel ripercorrere l’incanto dell’amore giovanile per Percy, mai consumato, unico conforto nel paradosso della sua disperata situazione reale. La più celebre follia è quella di Lucia di Lammermoor (Teatro San Carlo, Napoli 26 settembre 1835) tanto conosciuta da render superflua qualsiasi illustrazione. Sottolineo due elementi della magistrale realizzazione musicale: la “scissione” mentale della giovane sposa –pugnala a morte il novello coniuge Arturo nella stanza da letto, quindi canta delirando il suo incontro con l’uomo che avrebbe voluto sposare, Edgardo - viene dipinta da Donizetti con dovizia di ornamenti belcantistici, tratti astratti di un canto che non trova “le parole perdirlo”, poi raddoppiati in imitazione dal flauto (la glassarmonica nella partitura origsarmonica nella partitura originale è ancora più eterea) creando un effetto di sdoppiamento anche tra gorgheggianti volute e lo strumento in eco. Un’altra follia toccante, a lieto fine, è quella, pure celebre, di Linda di Chamounix (Vienna, Kartnertortheater, 19 maggio 1842). La giovane fanciulla svizzera del titolo, nella vicenda versificata da Luigi Rossi (da “La grace de Dieu” di Adolphe-Philippe d’Ennery e Gustave Lemoine) perde il senno in seguito a due episodi sconvolgenti. Prima il padre che la maledice, credendola “disonorata”, non più vergine; subito dopo, l’infondata notizia che il suo amato Carlo, visconte di Sirval, sta per unirsi in matrimonio con una nobile fanciulla, rinunciando a lei. La svolta finale arriva col ricongiungimento dei due giovani, che già avevano sancito la loro unione con la celeberrima cavatina “Oh luce di quest’anima“, brillante contagio di felicità, qui inclusa. Le tre altre opere qui raccolte sono quelle di altrettanti protagonisti maschili “folli”. L’esule di Roma (Napoli, Teatro San Carlo, 1 gennaio 1828) presenta una vibrante scena di delirio del senatore Murena, affidata all’epoca al basso Luigi Lablache. Titolo di grandissimo successo, una delle più fortunate del primo periodo napoletano dell’autore, racconta l’ambizione politica sfrenata di Murena, che pur di far carriera, ha fatto condannare con false prove il tribuno Settimio, a lui fedele, che è anche il fidanzato di Argelia, figlia dello stesso senatore romano. Una serie di situazioni incredibili – tra cui i leoni che rinunciano a sbranare Settimio nella fossa dei condannati a morte – fanno crollare le trame ordite da Murena. Costui, vistosi ormai perduto, è travolto dal rimorso e dai timori, espressi in una intensa, sconvolta aria di follia. La registrazione qui proposta “Tacqui allor…l’abbandonai” ritrae il momento in cui Settimio rientra a Roma dall’esilio nel Caucaso – pur rischiando la morte, e trepidante reincontra la sua città per ritrovare Argelia, per dirle almeno della sua innocenza Protagonista delle ultime due opere fu, all’epoca, il formidabile baritono Giorgio Ronconi, uno dei pionieri della tipologia vocale poi consacrata da Verdi con Rigoletto. Ne Il furioso all’Isola di Santo Domingo (Roma, Teatro Valle, 2 gennaio 1833) Cardenio, il protagonista, è un uomo accecato, fino alla perdita di senno, dal tradimento della moglie. “Raggio d’amor parea”, l’aria qui registrata, è una magnifica pagina in cui ricordo, dolore e trasporto lirico danno veste musicale agli incisivi versi di Jacopo Ferretti, librettista e amico di Donizetti:
“Raggio d’amor parea/
nel primo april degli anni/
ma quanto bella ell’era/
maestra era d’inganni
Sul volto avea le rose/
le spine ascose in cor”.
Le parole spiegano bene l’anima divisa e l’affettività irrisolta, dilaniata del protagonista. Altro superbo tratteggio psicologico è quello di Torquato Tasso (Roma, Teatro Valle, 9 settembre 1833) ruolo pure cucito su misura per Ronconi. Qui Donizetti realizza uno dei più toccanti ritratti psicologici di follia maschile. Torquato Tasso si presenta in tutta la sua desolata solitudine nel terzo e ultimo atto dell’opera. È la voce di un poeta che, dopo sette anni di segregazione, imprigionato dal suo Duca per evitargli una condanna a morte, scopre che la donna che ha amato, la duchessa Eleonora d’Este - “amore impossibile” per differenza
di ceto - è morta da ben cinque anni. Alla voce del corno è affidato il lamento e l’espressione di tutta l’impotente desolazione del dolorosissimo ritorno alla realtà

mostra tutto riduci
Discografia
Quintetto di Fiati “Orobie”
L'artista

Quintetto fiati " Orobie"

Dall’idea di di cinque musicisti bergamaschi nel 2016 nasce il “ Quintetto di Fiati “Orobie” con l’idea di raggiungere e proporre un elevata qualità musicale. Il quintetto dopo aver riscosso notevoli successi di critica e di pubblico ed essersi imposto nella realtà musicale bergamasca ha partecipato a rassegne internazionali quali “I Pomeriggi Musicali di Salò”, “Tignale in Musica” ed esibizioni in importanti centri musicali come Losanna, Lugano, Milano e Brescia . A livello internazionale a ottenuto diversi riconoscimenti come il 3° Premio al VII° Concorso Internazionale “Città di Chieri” (Edizione 2007) e dal 1° Premio al XX° European Music Competition di Moncalieri (Edizione 2008), 2° Premio al IX° Concorso Internazionale “Città di Chieri” (primo non assegnato, Edizione 2010).Nel 2008 ha partecipato al Concorso Internazionale di Musica da Camera di Lione (Edizione 2008), competizione ritenuta unanimemente tra le più prestigiose al mondo.Il repertorio del “ Quintetto di Fiati “Orobie” comprende brani originali per questa formazione, famose trascrizioni di arie d’opera, ouverture e favole in musica (come Pierino e il Lupo). Nell’estate del 2011 il quintetto si è fatto promotore nel panorama italiano dei quintetti a fiato realizzando la Masterclass del Quintetto Bibiena, nel 2016 il quintetto in collaborazione con il critico musicale Bernardino Zappa ed il patrocinio della Fondazione Donizetti, il progetto “Donizetti e la Follia” . Il gruppo è composto da Valentina Noris (Flauto); Davide Bresciani (Oboe); Santo Manenti (Clarinetto); Alessandro Valoti (Corno); Oscar Locatelli (Fagotto).

mostra tutto riduci
Vuoi saperne di più?
Contattaci